Di solito metto in conto un’ora e mezza per una mostra che mi piace. Questa volta mi hanno buttato fuori perché dovevano chiudere. Due ore e mezza volate, ho completamente perso la cognizione del tempo. Complimenti alla curatela della mostra che ha saputo narrare in modo avvincente la storia di Tina Modotti e del suo tempo: a partire dalla persona, modella e fotografa, è la lettura di un periodo storico che a distanza di un secolo sta ripresentando tutta la sua nefandezza. Da una parte la necessità di scendere in piazza e manifestare per il futuro e per i diritti, che dovrebbero essere riconosciuti senza nemmeno porsi il problema, dall’altra i regimi oppressivi ed i metodi da inquisizione. Sembra sempre più che le terribili lezioni del 20° secolo siano state completamente rimosse dall’umanità intera, e che ci stiamo incamminando sulla strada della ripetizione. Sono uscito con un grosso nodo in gola.
Nella foto che fa da apertura alla mostra, Tina Modotti ritratta da Edward Weston ne “L’iris bianco”. Coincidenza: è il titolo del più recente albo di Asterix, uscito a fine del 2023. Vale la pena di essere letto, dopo tanti albi mediocri.
Tante le immagini belle. In particolare però mi hanno colpito:
- Le foto iniziali in cui ha fatto da modella a Edward Weston a Tacubaya in Messico nel 1923: una composizione ed una forza incredibili.
- Ancora, la composizione, i giochi di luce ed ombre nella sua foto a Rafael (Sala) sull’azotea (una sorta di terrazzo), a Città del Messico, nel 1924.
- La geometria delle costruzioni in “senza titolo, 1927”. Ricorda Rodchenko. Ho indagato velocemente, ma non esiste evidenza che i due si siano incontrati.
- Le mani di sua madre (recita la didascalia “Durante l’ultimo soggiorno che fece a San Francisco fra dicembre 1925 e febbraio 1926 Tina Modotti scattò alcune foto ai suoi familiari. A oggi non sappiamo se esista anche un ritratto fatto in questa occasione del volto di sua madre: la foto delle sue mani rimane l’ultimo scatto che Tina Modotti le fece. La madre morì nel 1936, fu l’ultima volta che la vide.“). Mi ha riportato alla mente lo scatto di Dorothea Lange, le “mani di Paul” mentre la abbracciano. E, perché no, anche le mani che ho fotografato io stesso recentemente (Bibi e Monica).
- La manifestazione di campesinos, ritratti come un unico mare di sombreri.
- La fenomenale presenza del soggetto nei suoi ritratti di Frances Toor, Carleton Beals, di alcune delle donne messicane.
- “Jean Charlot seduto su una cassapanca 1923”, che riporta alla memoria i ritratti scattati da Irving Penn, quando costringeva nell’angolo i suoi soggetti. In una posa molto simile, quello di Salvador Dalí.
- Il valore simbolico che è riuscita a dare ai suoi still life di cartuccere, falci, martelli, sombreri, chitarre.
E pensare che girava con una macchina Graflex portatile, con negativi 4″x5″ (10x13cm): avete presente le prime Leica? Esattamente l’opposto, pur essendosi affrancata dal banco ottico.
Anche il catalogo vale assolutamente la pena, ed ha un prezzo ancora accessibile.
Grazie Sascha, una disamina veramente interessante, che invoglia alla visita.