P Potente. Questo l’aggettivo che a mio avviso meglio si addice a questa mostra, al Mudec di Milano fino a fine luglio ’23.
Ho iniziato a seguire i lavori di Zanele Muholi dopo averla vista in “Seeing Through Photographs” del MoMA e soprattutto dopo averne visto dal vivo le stampe enormi esposte alla Biennale di Venezia del 2019. Una delle sue immagini è stata oggetto di una delle mie ricreazioni.
Già dal primo impatto mi ha preso in contropiede. Non essendo nell’edificio principale, si passa immediatamente dal caldo e dalla luce abbagliante del cortile all’ambiente fresco e buio dell’esposizione (tanto che per un istante ho fatto fatica a vedere l’addetto al controllo dei biglietti).
La mostra si presta ad almeno tre livelli di lettura
- l’attivista, che lotta contro la segregazione razziale e sessuale, e lotta per la presa di coscienza del proprio essere;
- il ritratto (autoritratto, in realtà), con una forza nello sguardo e nella presenza che raramente si vedono;
- la creatività, per la quale spesso prende ispirazione dal luogo ove si trova, ed altre volte usa oggetti che richiamano le cause della sua lotta, come ad esempio i copertoni o le fascette da elettricista.
L’impatto per me è stato dirompente, ben descritto dalla parola “potente”. Quando l’ho detto alla ragazza del book-shop, me l’ha confermato, aggiungendo “peccato che ci sia così poca gente”.
Un’immagine diversa da tutte le altre, un autoritratto in cui pensa al fratello scomparso: lo sguardo è diverso, ed è l’unica più piccola, incorniciata con passe-partout. Ti tocca nel cuore.
Veramente complimenti a Zanele Muholi ed alla curatela.
E questa mostra da sola è valsa la pena della gita a Milano. Ne ho viste altre, ma per quanto valide, non reggono al confronto (opinione ovviamente personale).