Dopo tutte queste impersonificazioni, non dovrei avere problemi ad intervistarmi da solo!
Ricreazioni – perché questo titolo?
L’idea è quella di ri-creare le immagini, inteso come un atto di creatività, non di copia. Dovessi copiarle, userei Photoshop… e a questo punto farei proprio a meno di farlo!
E poi per me rappresentano un momento di ricreazione, di stacco dalla quotidianità. Da qui il gioco sul significato ambiguo della parola.
Da dove nasce l’idea?
L’idea iniziale nasce durante il primo lock-down, con la ricreazione del S.Matteo di Caravaggio, memore del fatto che questo tipo di esercizio viene utilizzato in alcuni corsi di fotografia. Sempre durante il lock-down ho fatto una serie di autoritratti che solo successivamente mi sono reso conto di quanto fossero influenzati da immagini che fanno parte del mio bagaglio visivo; Dalì è uno di questi autoritratti. Ma il vero impulso all’idea l’ho ricevuto durante un workshop di storytelling di Enzo Dal Verme, in risposta alla richiesta di raccontare la colazione; un po’ per riderci sopra è nata la mia ricreazione dell’immagine di Irving Penn. “Potresti farci una serie…” mi disse. “Ma no, figurati!” E invece, poi una tira l’altra.
Come scegli le immagini?
Innanzitutto l’immagine che scelgo per la ricreazione deve dirmi qualcosa: può essere la luce, il soggetto, la situazione, l’autore. Per esempio il “Country Doctor” ho deciso di farlo quando ho notato che stava fumando.
Al tempo stesso deve anche trattarsi di un argomento che mi sia “compatibile”: ad esempio la luce della famosa foto di Marlon Brando nella locandina del Padrino è meravigliosa, e sarebbe stimolante provare a rifarla. Ma ciò che rappresenta è tutt’altro che meraviglioso. Lo stesso ragionamento vale per il ritratto di Alfred Krupp fatto da Arnold Newman.
Poi deve esserci un po’ di sfida, che può stare nel ricreare l’illuminazione, o l’espressione, o la scena – ma possibilmente con cose che ho già -, o una combinazione di questi aspetti. Magari con un pizzico di ironia.
E infine deve essere “fattibile”: per quanto possa piacermi l’idea, non riesco a vedermi nei panni di John Belushi!
Se poi è anche conosciuta, è la ciliegina sulla torta.
Come le realizzi?
Sono pressoché tutte una “one-man-show”. Solo nel Laocoonte è stata mia figlia Gaia a scattare mentre io litigavo con il cavo delle cuffie. Quando sono a figura intera o comunque quando mi si vedono le mani, sono autoscatti a tempo. Dove possibile, ho lavorato collegato al computer, in modo da vedere subito il risultato: in questi casi è stato più semplice lavorare per aggiustamenti successivi. Nell’astronomo il computer oltre che oggetto di scena è anche funzionale al controllo ed alla realizzazione della foto.
Il mio studio fotografico è normalmente una parte della casa – quindi prima e dopo lo shooting c’è sempre una non indifferente attività fisica di “trasloco”.
Alcune sono più fedeli all’originale, altre meno…
Un elemento importante per me è anche quello di pensare a come ricreare l’immagine: quali sono gli aspetti che devono esserci, quanto devono essere fedeli all’originale, quali posso cambiare o introdurre (p.e. l’orologio ed il computer nel San Matteo del Caravaggio, o la macchina da cucire elettrica del sarto indiano), oppure con cosa posso sostituirli (la medaglia del Riso di Bellotti, o il carrello invece del passeggino nella foto di Lindbergh; in quest’ultima anche la scelta di lasciare lo sfondo chiaramente spiegazzato è un richiamo allo sfondo originale della città industriale di Duisburg).
Direi che le soluzioni sono sempre meditate, difficilmente lascio qualcosa di improvvisato al momento dello shooting. Magari ho qualche alternativa e vedo cosa funziona meglio.
Qual è stata la ricreazione più difficile? E la più divertente?
Ognuna è stata divertente e difficile a modo suo. Le difficoltà sono state le più svariate: dal peperone che non ne voleva sapere di restare sospeso nel Magritte, ai guanti che continuavano a staccarsi nel caso della ricreazione di Zanele Muholi, all’espressione dei ragazzini di Bresson o di Arbus; più raramente di natura tecnica. In un unico caso ho abbandonato perché non veniva proprio.
Divertenti, stimolanti e soddisfacenti: assolutamente tutte quante. Altrimenti, chi me lo fa fare?!
Hai usato molta postproduzione?
Ho sempre cercato di arrivare il più vicino possibile al risultato finale già con lo scatto, in modo da dover aggiustare giusto un po’ di luminosità, contrasto e saturazione. Ad esempio la spada di luce di Obi-Wan Kenobi non l’ho aggiunta in post, ma ho giocato con i riflessi su una katana vera. Chiaramente in alcuni casi c’è stato bisogno di qualche intervento un po’ più pesante, ma non traggo particolare soddisfazione dal ritoccare molto le immagini.
Questa volta hai pubblicato le immagini sui social. Come mai? C’era un ordine nella pubblicazione?
Semplicemente mi faceva piacere condividerle con gli amici, visto che tutto era nato per divertimento. Poi non ci sono complessità burocratiche, aspetti di privacy: mi sono rilasciato la liberatoria senza discussioni!
Sui social le ho pubblicate quasi sempre in ordine di realizzazione. Mi piaceva anche l’idea dell’appuntamento fisso settimanale del sabato.
Sul sito invece hanno un ordine ben preciso, ordine che è nato durante il corso del progetto: ad un certo punto mi sono reso conto che mancava qualche immagine per far scorrere più fluidamente il racconto, ed ho cercato in quella direzione. Adesso ne sono soddisfatto (hint: dall’ultima immagine riesci a trovare l’aggancio per ricominciare da capo?)
Poi ognuno è ovviamente libero di leggerci la storia che crede, ed anche di non essere d’accordo con la mia sequenza, ci mancherebbe!
Hai imparato qualcosa di interessante?
Dal punto di vista tecnico è stata un’ottima occasione per affinare gli aspetti relativi all’illuminazione, o alla doppia esposizione in macchina (nel caso di Steve Martin), ma anche per scoprire qualche comportamento peculiare dell’attrezzatura (perché in tethering l’autoscatto temporizzato fatto partire da computer, con live view attivo, non fa scattare il flash?!?). Tantissime occasioni per problem solving creativo, alla McGyver, sfruttando la possibilità di far vedere solo quello che si vuole (p.e. la salopette di Terence Hill, il fumo del Cappellaio Matto, il “faro” di Twiggy).
Molto interessante la necessità di controllo della propria posizione, che induce una presa di coscienza non indifferente dei microspostamenti, ad esempio delle dita della mano, o delle minime rotazioni ed inclinazioni della testa o degli arti. E’ decisamente più semplice guidare un’altra persona, osservandola.
Infine aggiungerei l’eterno bilanciamento tra dettaglio e insieme – facendo attenzione a sistemare un dettaglio più di una volta non mi sono accorto subito che un altro aspetto macroscopico stava sbilancandosi!
Ne farai delle altre?
Al momento c’è un’idea, ma richiede parecchio tempo, sforzo e più post-produzione di quanto vorrei, per cui non so se vedrà mai la luce.
Non escludo che possano esserci altre immagini che mi ispireranno a riprendere questo lavoro o qualcosa di simile, ma per il momento mi prendo almeno una pausa.